La creatività non è un opzione
0 Comments
Testo trovato su FB attribuito a Emily MignanelliAdulto è colui che ha curato le ferite della propria infanzia, riaprendole per vedere se ci sono cancrene in atto, guardandole in faccia, non nascondendo il bambino ferito che è stato, ma rispettandolo profondamente riconoscendone la verità dei sentimenti passati, che se non ascoltati diventano, presenti, futuri, eterni. Adulto è colui che smette di cercare i propri genitori ovunque, e ciò che loro non hanno saputo o potuto dare. E’ qualcuno che non cerca compiacimento, rapporti privilegiati, amore incondizionato, senso per la propria esistenze nel partner, nei figli, nei colleghi, negli amici. Adulto è colui che non crea transfer costanti, vivendo in un perpetuo e doloroso gioco di ruolo in cui cerca di portare dentro gli altri, a volte trascinandoli per i capelli. Adulto è chi si assume le proprie responsabilità, ma non quelle come timbrare il cartellino, pagare le bollette o rifare i letti e le lavatrici. Ma le responsabilità delle proprie scelte, delle proprie azioni, delle proprie paure e delle proprie fragilità. Responsabile è chi prende la propria vita in carico, senza più attribuire colpe alla crisi, al governo ladro, al sindaco che scalda la poltrona, alla società malata, ai piccioni che portano le malattie e all’insegnante delle elementari che era frustrata e le puzzava il fiato. Sembrano adulti ma non lo sono affatto. Chi da bambino è stato umiliato, chi ha pensato di non esser stato amato abbastanza, chi ha vissuto l’abbandono e ne rivive costantemente la paura, chi ha incontrato la rabbia e la violenza, chi si è sentito eccessivamente responsabilizzato, chi ha urlato senza voce, chi la voce ce l’aveva ma non c’era nessuno con orecchie per sentire, chi ha atteso invano mani, chi le mani le ha temute. Per tutti questi “chi”, se non c’è stato un momento di profonda rielaborazione, se non si è avuto ancora il coraggio di accettare il dolore vissuto, se non si è pronti per dire addio a quel bambino, allora “l’adultità” è un’illusione. Io ho paura di questi bambini feriti travestiti da adulti, perché se un bambino ferito urla e scalcia, un adulto che nega le proprie emozioni è pronto a fare qualsiasi cosa. Un bambino ferito travestito da adulto è una bomba ad orologeria. L’odio potrebbe scoppiare ciclicamente o attendere a lungo per una sola e violenta detonazione, altri preferiscono implodere, mutilando anima e corpo, pur di non vedere. Ciò che separa il bambino dall’adulto, è la consapevolezza. Ciò che separa l’illusione dalla consapevolezza è la capacità di sostenere l’onda d’urto della deflagrazione del dolore accumulato. Ciò che rimane dopo che il dolore è uscito è amore, empatia, accettazione e leggerezza. Non si giunge alla felicità attraverso la menzogna. Non si può fingere di non aver vissuto la propria infanzia. Non si può essere adulti se nessuno ha visto il bambino che siamo stati, noi per primi." Stagione di saggi per i più piccoli, stagione di esami per i più grandi, siamo alla resa dei conti dell’anno scolastico, a volte di un intero ciclo didattico. Anche noi, nel Closlieu, invitiamo i genitori che vogliono, alla “mostra” di tutte le pitture prodotte durante i nostri incontri con la possibilità di scoprire il bambino, o la bambina, in un altro modo. Per me, ogni anno, questa preparazione di triage di tutti dipinti divisi in bei pacchetti per ciascuno, si rivela sempre magico, è il momento dell’astronauta che in rotta per la luna si rigira per scoprire la terra nella sua integralità splendente. Noi non insegniamo nulla, quindi qui non c’è una resa dei conti come ci può essere con un nuovo brevetto di nuoto o una cintura di un colore diverso che attestano l’acquisizione di nuove competenze molto utili. Allora perché tutta questa emozione nel nostro incontro finale nel Closlieu? Comincio con la parola prodotto che usiamo facilmente, che sia qui, che nell’arte, che nell’esperienza scolastica o altro, quello che si fa diventa prodotto, parola che nel nostro contesto post-industriale sfugge difficilmente a delle connotazioni di valore economico. Cerchiamo invece di capire il valore di un anno di frequentazione del Closlieu dove si producono dipinti meravigliosi, visti soltanto da chi frequenta e in quest’occasione di fine anno. Nel Closlieu stiamo nel processo naturale dell’espressione, il bambino non ha bisogno di imparare a disegnare. Le sue rappresentazioni, disegni o pitture, seguono la sua percezione di sè in relazione con il mondo, in divenire, in evoluzione per il processo di differenziazione in atto. Inizialmente, quando ha acquisito un sufficiente controllo del suo braccio, disegna il cerchio, è la sua testa, il bambino si percepisce, ma è ancora fuso con il mondo, in seguito aggiunge due bastoncini verso il basso, è arrivato allo stato girino, integra la coscienza che sono le sue gambe a propulsarlo in questo mondo che è ancora una parte di sè, e così via. Verso i cinque/sei anni disegna un corpo abbastanza completo, dove spesso manca ancora il collo, che a sua volta è il ponte tra mente e corpo, ma per il bambino questa dicotomia non esiste, non può ancora vedersi dal di fuori, separato . E così man mano che cresce, le sue rappresentazioni si fanno più elaborate intrecciando sempre un suo sentimento interiore con ciò che lo affascina dal mondo esteriore. Perciò, insegnare al bambino piccolo come rappresentare, può essere l’inizio della fine del suo interresse per un attività che invece gli appartiene totalmente poiché a differenza di altri mezzi espressivi non ha bisogno di imparare nulla per essere efficace. L’insegnamento in questo campo lo frustra inutilmente e può renderlo insicuro, il contrario di quello che desideriamo per i nostri figli, mentre lasciandolo libero di attualizzare la sua crescita espressiva al suo passo si rivela un processo rafforzante. Se vogliamo rientrare con l’idea del proficuo non perdiamo di vista che una bambina/ bambino felice oggi, giorno dopo giorno cresce verso la naturale realizzazione di un adulto felice.
|
|